L’edizione odierna del quotidiano Avvenire pubblica l’articolo “Tagliare i costi non basta: nuove sfide per il credito” in cui Maurizio Primanni — CEO di Excellence Consulting — interviene sul tema del taglio degli sportelli bancari, oggi di grande attualità.
Certo, i numeri sui tagli nelle filiali fa impressione e desta preoccupazione sotto il profilo occupazionale. Ma analizzando bene il contesto e mettendo nel computo oltre alle “uscite” anche le “entrate” il quadro pare meno fosco. L’annuncio della cura dimagrante di Unicredit (con il taglio di 8mila dipendenti) è infatti solo l’ultimo atto di una serie di esuberi annunciati dagli istituti di credito. Nei piani industriali già approvati dai primi nove gruppi italiani sono previsti 29.700 uscite: di queste più di 16mila sono già state completate.
Di contro, però, il Fondo per l’occupazione ha consentito in nove anni l’assunzione di 20.550 giovani under 35. Nel corso del 2018 ad esempio, in base ai numeri elaborati dalla Fabi, sono stati assunti quasi 150 ragazzi al mese. Circa il 57% delle assunzioni ha riguardato personale femminile. Un’analisi emersa di recente e riportata da diverse testate nazionali ipotizza uno scenario macroeconomico difficile per i prossimi anni, all’insegna di tagli importanti. Per neutralizzare la compressione dei ricavi e mantenere la redditività ai livelli attuali “le banche italiane – si legge nella ricerca – dovranno ridurre la base dei costi di 5 miliardi di euro che corrispondono a circa 70mila risorse e a 7mila filiali nel corso dei prossimi 5 anni”. Una stima che secondo l’Abi è da considerare semplicistica e non condivisibile. Negli ultimi dieci anni sono stati chiusi circa 7mila sportelli e una banca su tre non c’è più, ma il sistema ha reagito alla crisi in modo positivo: il livello dei crediti deteriorati si è ridotto in maniera significativa e le banche italiane sono oggi tra le più patrimonializzate in Europa.
La redditività è in realtà in linea con quella europea. Le fusioni non hanno portato ai risultati positivi che ci si aspettava. “Tra le prime otto banche generaliste nel periodo dal 2007 al 2018 – commenta Maurizio Primanni, CEO di Excellence Consulting, che ha analizzato i dati – troviamo un gruppo di tre banche (Intesa Sanpaolo, Bper e Credem) che sono riuscite a mantenere sostanzialmente il loro volume complessivo di ricavi, mentre le altre 5 (Unicredit, MPS, Banco-BPM, UBI, Creval) hanno perso ricavi per un totale di circa 10 miliardi rispetto ai 60 miliardi totali del 2007″. Non tutte le banche italiane negli ultimi 10 anni hanno registrato una contrazione dei ricavi, le reti di consulenti finanziari e le banche che hanno mantenuto un modello organizzativo su più società specializzate sono riuscite a migliorare i loro risultati economici. In sintesi, spiega Primanni, ci sono sicuramente dei macrotrend — come la digitalizzazione dei modelli di servizio, il cambiamento dei bisogni dei clienti — “che impongono alle banche di rivedere la presenza territoriale e realizzare fusioni e acquisizioni per fare economie di scala, ma puntare solo sulla razionalizzazione dei costi è riduttivo”. Solo Intesa Sanpaolo e Unicredit tra il 2004 e il 2018 hanno ottenuto buoni risultati grazie alle acquisizioni.
La soluzione
Che fare allora per migliorare i ricavi degli istituti di credito in un contesto caratterizzato dalla riduzione della domanda e da una sempre maggiore complessità? “Una soluzione — conclude il CEO di Excellence Consulting — è quella di diversificare le proposte e gli ambiti su cui agile: retail e pagamenti digitali, assicurazioni, i grandi patrimoni e i finanziamenti alle imprese, la consulenza immobiliare”.
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