Citywire ha pubblicato un articolo in cui Maurizio Primanni, CEO di Excellence, riflette sull’OPA di Intesa per Ubi Banca cercando di immaginare come saranno il private banking e la consulenza finanziaria del gruppo Intesa a operazione conclusa.
Queste le dichiarazioni di Primanni:
“Sul fronte della consulenza finanziaria, il contributo di IWBank (gruppo Ubi Banca ndr) è più relativo, dal momento che a fine 2019 quest’ultima aveva masse gestite per 10 miliardi di euro e le reti del gruppo Fideuram per 122 miliardi. Quest’ultima passerebbe, quindi, dall’attuale quota di mercato nella consulenza finanziaria del 24% al 26%”.
Ma il vero valore dell’integrazione di IWBank in Fideuram andrebbe ricercato non tanto nell’accresciuta quota di mercato, appunto molto relativa, quanto nel fatto che IWBank è ha una piattaforma di banca digitale/trading che a Fideuram manca.
“Si tratta di una piattaforma che oggi è al livello di quella di Fineco“, spiega Primanni, “Fineco, quotata, ha un rapporto prezzo/utili del 23,3, il doppio rispetto a quello delle altre reti/sgr quotate (Banca Generali, Banca Mediolanum e Azimut ndr). Se Fideuram venisse valutata al moltiplicatore di Fineco, varrebbe 15 miliardi di euro, quindi IWBank le porterebbe in dote 6-7 miliardi in più di valorizzazione proprio grazie all’integrazione della piattaforma digitale”.
Il processo di integrazione? Non dovrebbe avere criticità
Per quanto riguarda il processo di integrazione delle strutture private di Ubi e di IWBank in Intesa, Primanni non vede particolari criticità all’orizzonte. “Le due banche hanno un modello manageriale e organizzativo molto simile e sulle Venete Intesa ha già dato prova di avere una macchina di integrazione rodata. La razionalizzazione delle rispettive reti sarà più agevole”.
C’è anche un potenziale importante sulle sinergie commerciali.” Se andiamo a vedere i Kpi delle due banche, Intesa ha un business mix dove il private pesa di più (e le masse private rendono un po’ meno), Ubi è più affluent e meno private”, ricorda Primanni, “nel 2018 Ubi aveva 95 miliardi di raccolta indiretta, di cui 66 di risparmio gestito, e su quei 95 miliardi di euro ha generato commissioni attive nell’ordine di 100 punti base. Intesa si attesta intorno agli 80 punti base sui suoi 496 miliardi di raccolta indiretta, di cui 330 gestita”.
Con questa operazione si avrà la possibilità, quindi, di realizzare un riallineamento tra le performance delle due reti, con Intesa che potrebbe migliorare ulteriormente la capacità di generare commissioni attive sulla raccolta indiretta, mentre sulla generazione di ricavi da margine di interesse e servizi finanziari e bancari è già più efficiente di Ubi, con almeno 30 punti base in più di ricavi.
“Non va dimenticato”, conclude Primanni, “che l’asset management per Ubi pesa, in termini di ricavi, meno di quanto potrebbe pesare per Intesa, infatti produce circa 1 miliardo di euro di commissioni attive, con un rapporto tra commissioni nette su attive pari a 89%. Ma Ubi ha in casa fabbriche prodotto (asset management e bancassurance) non totalmente controllate, mentre Intesa è da considerarsi una wealth management bank con fabbriche assicurative (vita e danni), una asset management company (Eurizon), più l’investment center di Fideuram tutti totalmente controllati.”