Sul numero del mensile Azienda Banca di maggio 2020 è stato pubblicato un sondaggio di Excellence Consulting che ha evidenziato come sia cambiato il rapporto tra il consulente e il cliente ai tempi del Covid-19.
L’impatto del Covid-19 è stato particolarmente forte in quei settori in cui la penetrazione del digitale era minore. Per alcuni business, in primis il wealth management e il private banking, il rapporto personale tra il consulente e il cliente gioca un ruolo fondamentale. E, con il distanziamento sociale, questa relazione si è spostata in vario modo sui canali digitali. A inizio aprile 2020, la società di consulenza Excellence Consulting ha svolto un sondaggio su un centinaio di consulenti. Scoprendo che la relazione con il cliente si era spostata soprattutto su Whatsapp (prevalente nel 40% dei casi) rispetto alla chiacchierata telefonica (35% di prevalenza).
Chi ha la firma digitale e chi Io scanner
Al di là del metodo di contatto, emerge una certa differenza di customer experience tra quelle banche e reti che avevano già offerto ai propri consulenti degli strumenti digitali avanzati e quelle che, invece, erano in ritardo. Si spiega così la spaccatura tra il 48% di consulenti che ha potuto appoggiarsi alla firma digitale per la conclusione dei contratti e un 40% che, invece, si è dovuto arrangiare chiedendo al cliente di stampare i documenti cartacei, firmarli e scansionarli per inviarli via email. Una bella differenza, pur con la scusa dell’ emergenza.Una via cinese?
È noto che in Italia ci sono realtà, come Intesa Sanpaolo, UniCredit, Fideuram, Banca Generali, IWBank o Widiba, solo per nominarne alcune, che hanno avviato da tempo progettualità per supportare i consulenti con strumenti di relazione ed engagement. Excellence Consulting evidenzia come in Cina, durante la quarantena, la relazione tra il cliente e il consulente abbia riguardato anche aspetti più pratici: informazioni sull’epidemia, su quali professionisti contattare per diverse esigenze, persino su aspetti pratici come la consegna a domicilio. In Cina, d’altronde, troviamo casi di innovazione vertiginosa: tutti conosciamo Yuebao, servizio di quell’Ant Financial che controlla Alibaba. Per ogni acquisto sul wallet arrotonda la cifra e invia il resto a un fondo monetario, che è entrato rapidamente tra i più importanti al mondo in termini di masse.Meglio la collaborazione a distanza
È immaginabile per l’Italia un’evoluzione verso la via cinese? Sembra difficile. AI di là delle abitudini, più o meno temporanee, legate al Coronavirus, c’è un consolidato rapporto personale tra il cliente, soprattutto private, e la figura del consulente. È molto più probabile invece che cresca l’adozione di strumenti che abilitino una nuova relazione fortemente digitale: piattaforme di collaborazione a distanza, ad esempio, sulla scia di quanto fatto da Fidelity, Schwab e BlackRock.Il WealthTech c’è
Il mondo del WealthTech è pronto a supportare le nuove esigenze di reti e banche con diversi strumenti. Il primo è il robo for advisory, su cui basare anche modelli ibridi di consulenza umana e digitale per il target affluent e, con una prevalenza del digitale, persino per il retail. Lo sviluppo del machine learning aprirà nuovi spazi non solo per l’elaborazione delle strategie di investimento, ma anche per automatizzare alcune fasi della relazione con il cliente. E, soprattutto per il retail, si possono immaginare strumenti di gamification o di automazione del risparmio, molti diffusi presso le neobanche.Di chi si fida il risparmiatore (nel 40% dei casi, di nessuno)
Anche perché, dati alla mano, le banche sono ancora avvantaggiate rispetto ai newcomer quando si tratta del risparmio degli italiani. Una survey dell’Osservatorio FinTech & InsurTech del Politecnico di Milano e di Nielsen, infatti, evidenzia che tra i soggetti a cui i consumatori si affiderebbero per gestire i loro risparmi ci sono le Poste (60%) e le banche (59%), seguiti a distanza da Sgr (25%) e catene di supermercati (24%). Erano ovviamente possibili più opzioni ma il mix fotografa l’orientamento molto tradizionalista degli italiani: a proposito, il 40% del campione non affiderebbe il proprio risparmio a nessuno. I brand del commercio elettronico si fermano al 17%, i GAFA al 16%, le startup al 15%.Meno della metà investe
Secondo i dati, il 55% degli italiani (utenti internet tra i 18 e i 74 anni) non ha alcun investimento in essere. Un 13% investe confrontandosi con altri soggetti e delegando ad altri la compravendita (e qui amici e parenti contano come il consulente finanziario della banca, 56% contro 55%, la consulenza indipendente è nella nicchia del 6%), mentre il 32% gestisce almeno in parte in autonomia i propri risparmi: e qui troviamo un 71% di clienti per la banca e un 11% per il mondo emergente del FinTech. L`11% del 32%, cioè a spanne meno del 4% del totale degli italiani.Gli under 24: un mix di tradizione e innovazione
Le percentuali, ovviamente, cambiano in base all’età: le banche sono scelte dal 69% degli over 55 e “solo” dal 44% dei 18-24enni. Le Poste tengono bene (71% tra gli over 55, 62% tra i 18 e i 24 anni) mentre i più giovani guardano con favore sia agli specialisti delle Sgr (35% contro il 20% degli over 55) sia ad attori di altri settori (addirittura 51% contro il 18% degli over 55). Preferenze che in qualche modo sintetizzano da un lato la cultura italiana del risparmio, molto prudente e legata a player e strumenti tradizionali, dall’altro la fiducia crescente verso le tecnologie e il digitale. C’è spazio, quindi, per la crescita di nuovi servizi, sia indipendenti sia come frutto della collaborazione tra player tradizionali ed emergenti.
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