Di Maurizio Primanni, CEO di Excellence, per il mensile Advisor
La storia della consulenza finanziaria è non meno affascinante che lineare. Come un organismo vivente che si evolve, nel cui DNA c’è, oltre il passato, anche il futuro. Fin dalle sue origini, che sostanzialmente risalgono agli anni 80 per quanto riguarda il nostro Paese, la professione del consulente finanziario nasce in un certo senso come un sogno pionieristico, un’alternativa efficiente all’acquisto imperante al tempo dei titoli di Stato: per la prima volta si offrono ai clienti prodotti di investimento che, a differenza di quelli di Stato, danno la possibilità di diversificare su diversi mercati e settori. Da lì in avanti pochi immaginavano che ci sarebbe stata alquanta altra strada da percorrere. Gli italiani (Bot people) erano innamorati di BOT, CCT e BTP. Nel 1995 i titoli di Stato detenuti dalle famiglie ammontavano a 366 miliardi, il 18% della ricchezza totale (dati Bankitalia). Nel 2019 la quota sarebbe scesa al 2,7% sul totale (4,469 miliardi). Oggi a fare la parte del leone è il risparmio gestito: nel 2019 il 38,3% del patrimonio finanziario degli italiani.
LE ORIGINI DELLA PROFESSIONE
Per tutti gli anni `80 e `90 i titoli di Stato assicurarono un rendimento sicuro, superiore anche all’elevata inflazione dell’epoca. Poi il rapido declino. A un giovane di oggi la locuzione Bot people suona arcaica. È indubbio però che al loro inizio i consulenti finanziari abbiano dovuto spesso approfondire con i clienti il tema della performance (rendimento) dei prodotti proposti. Più il consulente possedeva la materia ed era carismatico (Ennio Doris racconta che all’inizio proponeva un unico fondo ai suoi clienti), più riusciva a spostare l’attenzione del cliente anche su altri elementi di valore dei prodotti offerti, primo fra tutti la diversificazione degli investimenti sottostanti. L’industria ha iniziato conseguentemente a proporre prodotti sempre nuovi e sempre più diversificati. Il consulente inizia quindi ad essere visto dal cliente come una sorta di Re Mida, qualcuno che riesce a far ottenere ottimi rendimenti puntando sulle aziende internazionali a più elevato potenziale di crescita. I consulenti stessi iniziarono a capire che si trattava di una missione con aspettative altissime e non sempre raggiungibili. Anche se alcuni finirono per identificarsi con quell’immagine onnipotente, come rappresentato anche dal cinema.
LA NORMATIVA MIFID E LA RILEVANZA DEL PROFILO DI RISCHIO DEL CLIENTE
Il 1° novembre 2007 entra in vigore nei Paesi dell’Unione europea la Direttiva MiFID I, che in qualche modo, nonostante le prime reazione furono di malumore diffuso, ha influito in modo determinante nel portare la professione del consulente finanziario su un livello di superiore valore e professionalità. La direttiva introduce, tra le altre novità, quella del profilo di rischio del cliente. Un passaggio fondamentale. Tramite la nuova normativa viene trasformata non solo l’offerta, ma lo stesso modus operandi del professionista. Nascono così tutta una serie di servizi, che includono diverse competenze, da quelle psicologiche al digitale (sono gli stessi anni in cui Internet inizia a pervadere l’economia). Soprattutto, il professionista si svincola dall’ossessione della promessa della performance, che da MiFID I va valutata congiuntamente al profilo di rischio. I clienti sanno che i rendimenti non dipendono solo dalla bravura del consulente, ma da altri fattori che esulano da lui. Sono consapevoli del fatto che esiste anche il “cigno nero”, una congiuntura incontrollabile che si può abbattere sul mercato, come è drammaticamente successo con la pandemia da Covid-19. Su questo percorso, per così dire di liberazione da paure e false aspettative, la normativa poi si evolve nel tempo e si perfeziona e così arriva MiFID II. In vigore dal 2 gennaio 2018, la nuova direttiva fa un ulteriore passo in avanti. Introduce il principio di trasparenza e responsabilità (quest’ultima anche da parte del cliente): adesso il consulente è davvero libero di fare bene il suo lavoro, certamente informando con trasparenza il cliente.
IL FUTURO DELLA PROFESSIONE: VERSO IL CONSULENTE ARCHITETTO
Se è vero che tutti questi cambiamenti storici hanno giovato alla consulenza, tuttavia può esserci il rischio che il professionista si muova come su un tapis roulant, si limiti cioè, una volta assolti in modo trasparente i suoi doveri informativi sul rischio, a fare per così dire il compito senza arte né parte. Con una metafora, si pensi alla figura di quel medico di base che tira i remi in barca (una minoranza certamente), la cui attività si riduce a prescrivere farmaci tradizionali, quelli magari consigliati dall’informatore farmaceutico, senza approfondire, senza preoccuparsi per esempio dell’aspetto psicologico della malattia o ricorrere a prescrizioni più aggiornate. Con un’altra prospettiva, il consulente dovrebbe invece porsi come quel bravo architetto, che accosta all’aspetto tecnico un’ampia dose di creatività e cerca l’abbinamento tra funzione ed estetica. A nostro parere è venuto il momento di introdurre nei modelli di consulenza il concetto dei desiderata del cliente, quell’insieme di desideri, aspirazioni, aspettative del cliente e della sua famiglia sulla cui base personalizzare le raccomandazioni di investimento. Per realizzare tutto ciò è fondamentale conoscere appieno la personalità del cliente, il suo modo di pensare e di fare scelte. A questo fine viene in soccorso la teoria della finanza comportamentale, che applica la ricerca scientifica, in particolare quella della psicologia cognitiva, alla comprensione delle decisioni e delle scelte finanziarie della persona. La strada può essere allora quella di avere un modello di consulenza che oltre a performance, profilo di rischio e orizzonte temporale degli investimenti, tenga in debita considerazione anche la personalità finanziaria del cliente, come del resto stanno già sperimentando alcuni intermediari (per esempio Banca Aletti in Italia e Société Générale in Francia), di aggiornare e far conoscere all’interno delle organizzazioni i possibili archetipi della personalità finanziaria per proporre raccomandazioni di investimento che tengano conto appunto anche dei desiderata del cliente.
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