di Marta Morandi, Junior UX Designer di Excellence Innovation
- Introduzione
Ogni iniziativa di digitalizzazione di processi e strumenti ha come fruitore finale un utente, destinatario di uno strumento progettato per supportarlo nei suoi obiettivi. Poichè ogni “utente” è una persona, oggi parliamo di Human Centered Design, un processo di problem solving che pone al centro l’uomo con l’obiettivo di massimizzare il valore creato dalla progettazione.
Questo principio ha visto larga diffusione già dal 1986, dopo la pubblicazione del libro “User-Centered System Design: New Perspectives on Human-Computer Interaction” scritto da Don Norman e Stephen Draper e frutto di intensa ricerca di Norman con il suo laboratorio di ricerca dell’University of California di San Diego.
Negli anni, varie accezioni del termine si sono poi evolute nella pratica, incentrandosi sullo studio di persone reali e i contesti in cui vivono e lavorano, quindi è diventato necessario e più accurato adottare termini come “people-centered design” e “human-centered design”, che pongono al centro l’uomo e i suoi bisogni.
2. Human-Centered Design: benefici pratici
Nell’era della cooperazione e della open innovation, le persone per le quali creiamo soluzioni assumono un ruolo centrale, e rappresentano un valore fondamentale nel processo di design:
“L’obiettivo finale dello Human Centered Design è quello di condurre un focus sul cliente all’interno di una società e di creare un atteggiamento (…) di apertura basato sulla creazione e condivisione di conoscenza in modo collaborativo all’interno e all’esterno della società”.
Questa definizione, rielaborata per legarsi al nostro contesto aziendale, ci aiuta a elencare i benefici specifici e pratici dello Human Centered Design:
- Creare strumenti più facili da capire e da usare, riducendo così i costi di formazione e di supporto
- Incrementare la fruibilità e l’accessibilità a più tipologie di utenti
- Aumentare la produttività degli utenti e di conseguenza l’efficienza operativa
- Migliorare la gestione e il monitoraggio dei processi con un risparmio di tempo e risorse.
3. I 4 principi di Human-Centered Design
Nel corso “Design for the 21st century”, tenuto nel 2021 da Don Norman per Interaction Design Foundation, Norman spiega quali sono i 4 principi fondanti del moderno approccio Human-Centered.
- Focalizzarsi sulle persone e sul contesto in cui esse si trovano per poter ideare e progettare soluzioni che sono davvero adeguate, appropriate e costruite per loro.
- Risolvere il problema corretto, la causa che si trova alla radice del problema. I problemi continueranno a ripresentarsi se ci si sofferma solo ai sintomi che si manifestano e non si vanno a risolvere le reali questioni di fondo.
- Tutto è un sistema, un sistema interconnesso di elementi che compongono ed influenzano i problemi e le loro soluzioni.
- Piccoli e semplici interventi, perché la modalità di lavoro dei designer è iterativa – è normale provare e testare piccoli e semplici interventi per imparare a step, potendo progressivamente ingrandire e migliorare la soluzione.
1. Focalizzarsi sulle persone
“When you design, you have to understand what the capabilities are of the people you’re designing for. But, more importantly, I believe that it is wrong to have outside experts come in and do something for other people. That’s not how we get people to understand, to advance.” — Don Norman
Spesso si commette l’errore di non prendersi il tempo necessario per capire quali sono i reali problemi che affrontano le persone per cui lavoriamo e progettiamo soluzioni (prodotti, servizi…).
Ciò che consiglia Norman, è quello di creare un team di co-design con queste persone, renderle partecipi di tutte le fasi del progetto, dalla ricerca, all’ideazione, dalla progettazione al testing. Questa tipologia di approccio progettuale viene definita da Norman “community-driven design”.
Perché adottare questo approccio e come possiamo renderci utili? Le persone per cui progettiamo vivono in prima persona il problema ed è fondamentale osservarli nel loro contesto, dobbiamo imparare da loro. Solo dopo aver affrontato questa fase, possiamo mettere in campo le nostre competenze ed esperienze, ideando una soluzione e guidando le persone verso di essa.
2. Risolvere il problema corretto
“One of my rules in consulting is simple: never solve the problem I am asked to solve. Why such a counterintuitive rule? Because, invariably, the problem I am asked to solve is not the real, fundamental, root problem. It is usually a symptom.” — Don Norman, The Design of Everyday Things (p. 217)
Si ha spesso la tendenza di trovare velocemente una soluzione ai primi problemi che ci troviamo davanti, ma può capitare che queste soluzioni non funzionino. Perché? Perché stiamo curando solo i sintomi e sostituendo un problema con un altro problema. Dobbiamo invece identificare quali sono le cause reali alla radice, capire che ruolo giocano all’interno dell’intero sistema e solo allora provare a formulare ipotetiche soluzioni.
Come farlo? Il Design Thinking può spiegarci come.
3. Tutto è un sistema
“Evolutionarily, we humans are designed to understand simple causes and immediate results: We throw a rock, and we see it fall to the ground. […] but we need to understand the larger picture of socio-technical systems in order to figure out where each single problem originates from. Otherwise, there’s a major risk that we’re not solving the right problem, the root problem.” — Don Norman
Ciò che sostiene Norman è che noi umani siamo abituati ad imparare per causa ed effetto immediato, quindi riusciamo a modificare e migliorare le nostre azioni future grazie ai risultati immediati. Non siamo “costruiti” per capire sistemi complessi in cui occorrono mesi o anni per vedere i risultati delle nostre azioni.
Come possiamo fare quindi per comprendere un sistema complesso? Esistono alcune tecniche citate da Norman, come ad esempio il 5 Whys Method, utilizzato dalla Toyota Motor Corporation per analizzare e migliorare la qualità delle metodologie utilizzate nel loro sistema produttivo attraverso la “Root cause analysis” (analisi delle cause alla radice) per portare alla luce “insight” di un problema che altrimenti difficilmente emergerebbero.
Si parte definendo quale problema si vuole analizzare. Si prosegue intervistando le persone per cui si sta progettando e che stanno vivendo il problema. Ogni qualvolta queste persone spiegano aspetti del problema, si risponde ponendo loro la domanda “Perché?” per svariate volte (5 è un numero indicativo). L’obiettivo è farli ragionare su ciò che stanno raccontando, andando più a fondo nelle aspetti che sollevano.
4. Piccoli e semplici interventi
“There’s one interesting result that we have adopted in our work. It comes from a political scientist who wrote this wonderful paper called “Muddling Through”. And the notion was that when you have these big problems that require big solutions, you cannot just go in and try the big solution, because it’s too expensive, takes too much time, disrupts too many people’s lives. […] The technical term really is not “muddling through”; it’s “incrementalism”.” — Don Norman
Il termine utilizzato da Norman, “muddling through”, significa cercare di cavarsela con le informazioni e i mezzi che si hanno a disposizione. Questa espressione descrive alla perfezione quella innovazione incrementale, opposta al concetto di innovazione radicale, a cui si deve aspirare quando si devono affrontare problemi di più o meno grande portata.
Tenendo sempre bene a mente qual è la direzione da seguire e l’obiettivo finale, l’approccio consigliato da Norman è quello di condurre inizialmente piccoli test della soluzione ipotizzata. Qualora questi test portino risultati positivi, si prosegue strutturandone altri fino al raggiungimento dell’intera soluzione finale. Se questi test iniziali non vanno a buon fine, non sono da considerarsi fallimenti, bensì “learning experiences”, in quanto ci consentono di imparare e migliorare, aggiustando o cambiando la direzione.
In questo modo, non solo si limita il rischio di spendere enorme tempo e risorse su una soluzione “definitiva” sin dal principio, con il rischio di accorgersi troppo tardi che è quella sbagliata, ma si motivano positivamente tutti gli stakeholder di progetto, che possono toccare con mano i risultati di ogni test incrementale.
In conclusione, è fondamentale ricordare che questi principi e metodologie non sono applicabili soltanto al mondo del design, ma sono in realtà estendibili a tutti i campi e ruoli coinvolti nella progettazione di soluzioni e servizi con grandi benefici.
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