un articolo di Maurizio Primanni, CEO del Gruppo Excellence, per il mensile Advisor
Il tema del consulente finanziario digitale torna in modo prepotente nel dibattito sulla consulenza a seguito delle recenti applicazioni dell’intelligenza artificiale. In Italia tutto ha preso il via con lo stop – momentaneo – dell’Autorità garante della Privacy a ChatGPT, il software basato su AI e apprendimento automatico sviluppato da OpenAI. Oltreoceano, c’è stato lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood, che temono di essere esautorati dall’AI. Persino un guru dell’innovazione come Elon Musk ha espresso perplessità. Geoffrey Hinton, considerato il padrino dell’AI, si è dimesso da Google mettendo in guardia circa pericoli e criticità della stessa. Il Parlamento Ue ha dato il suo primo sì alle regole d’utilizzo dell’AI, che prevedono il bollino rosso per le applicazioni inaccettabili. Uk e Usa stanno delineando le loro regolamentazioni d’uso. Se ne è parlato anche al G7 di Hiroshima. L’impressione è quella che si andrà verso una regolazione della materia improntata allo sviluppo antropocentrico ed etico dell’AI, soluzione che personalmente condivido.
IL CONSULENTE AL CENTRO, RESO PIÙ EFFICACE DALL’AI NEL SERVIRE IL CLIENTE
Tutto questo dibattito sul ruolo che dovrà avere nel futuro l’intelligenza artificiale rischia di farci correre in avanti, portandoci a guardare la tecnologia oggi utilizzata nella consulenza, gli investimenti più recenti che abbiamo fatto su di essa, come a qualcosa di superato, o, peggio, di sbagliato. Entrambi sarebbero degli errori. I consulenti oggi più che mai hanno bisogno del supporto di piattaforme evolute di analisi e gestione del portafoglio di investimenti dei loro clienti, ma attenzione a non rimanere indietro.
Negli ultimi anni, anche da queste colonne, sono stati espressi dubbi sul fatto che la macchina possa spodestare il consulente. Non è avvenuto. Ciò sostanzialmente perché il professionista ha saputo essere il protagonista dell’interazione con gli apparati virtuali: è lui a immettere i dati, a personalizzarli, a far sì che il robo advisor lasci la decisione finale sempre al consulente. Questa, per altro, è la strada, la grande sfida per la gestione dei sistemi evoluti di AI, come ChatGPT. Centralità del consulente però non significa che l`AI non avrà nel futuro un suo ruolo, anche importante, nel modello di servizio dei consulenti finanziari. Affidarsi ad algoritmi e sistemi di apprendimento automatico è una prassi diffusa da tempo nel settore della consulenza finanziaria. Un passaggio inevitabile anche vista la mole di informazioni e dati, che possono essere utilizzati per predisporre il tipo di investimento da proporre al cliente. I nuovi robo advisor consentono al consulente di fare più cose, di essere più efficienti nelle operazioni richieste – e in questo modo anche di disporre di più tempo. Tramite l`Al, il consulente riesce a dare maggiore livello di servizio al cliente, a soddisfare una quota più ampia dei suoi bisogni. Può anche operare strategie di marketing, utilizzare i canali social per rendersi visibile e acquisire nuovi clienti. In ultima analisi, l’automazione consente di assecondare quella offerta olistica che è alla base dell’idea di consulenza che sosteniamo da tempo. Un servizio che tenga conto di tutte le esigenze del cliente, considerando la sua vita e quella dei suoi cari nell’insieme: dall’azienda, agli interessi, ai viaggi, alla vecchiaia dei genitori, all’università per i figli, alla casa per la famiglia.
LE COMPETENZE DA RINNOVARE
La domanda a questo punto è se i circa 30.000 consulenti finanziari e i 250.000 dipendenti del comparto bancario presenti in Italia saranno in grado di assecondare e utilizzare nel modo migliore l’intelligenza artificiale. Va detto che sono già stati approntati progetti molto innovativi da parte di numerose banche e di reti dei consulenti finanziari, di cui mi limito a citare Fideuram, Fineco, Banca Generali e Azimut. La pandemia da Covid 19 – che ricordiamo è iniziata nel dicembre del 2019 in Cina – tra le tante sue conseguenze, ha avuto effetti disruptive sul modo di lavorare e ha contribuito notevolmente a diffondere il ricorso ai canali digitali nella consulenza – tendenza che continua oggi; basti pensare alla diffusione dello smartworking. Il nuovo scenario, i progressi sempre più avanzati dell’AI pongono l’esigenza di non abbassare la guardia nell’organizzazione ed evoluzione delle competenze dei professionisti. A partire da una conoscenza e una autoconsapevolezza programmatica, di cambio di paradigma che le nuove tecnologie presuppongono. Il consulente può essere intimorito dalla mole di informazioni, non sempre attendibili e verificate sull’Al. Deve per questo conoscerne le implicazioni, che vengono dalla cibernetica e dalle scienze delle comunicazioni, con riferimenti ampi, che vanno dalla filosofia alla psicologia all’etica. Quale il ruolo della macchina, quale quello dell’uomo? Come quest’ultimo può sfruttare la prima senza esserne dominato? Quale la differenza tra la mente umana e quella dell’intelligenza artificiale? Sono tutte domande cui il consulente non può rispondere da solo. A tutto ciò poi dovranno essere aggiunte competenze più tecniche. Innanzitutto, di utilizzo pratico degli strumenti, come fare funzionare le macchine, come intervenire in caso di malfunzionamento, come sfruttare appieno tutte le potenzialità offerte dagli apparati. Bisognerà poi intervenire sul lato della capacità di utilizzare le schede tecniche, le infogratiche, ma anche quegli strumenti che consentono la relazione a distanza, come la firma digitale. La tecnologia pone anche la necessità di miglioramento delle capacità comunicative, dal momento che il venir meno della comunicazione para-verbale e gestuale impone il ricorso a tecniche relazionali diverse. In definitiva, i robo advisor, alla luce dei progressi dell’AI, sono ancor di più lo strumento fondamentale dell’attività del consulente finanziario.
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