Articolo di Adriano Bonafede pubblicato su ‘Affari & Finanza’, l’inserto di Repubblica
Un ricco piatto da 215 miliardi di masse in gestione, su cui gestori italiani e stranieri, ma anche società di consulenza, prelevano ogni anno le proprie percentuali per il servizio offerto. Si tratta del patrimonio complessivo, fotografato al settembre 2023, di fondi pensione chiusi, aperti, preesistenti, Pip assicurativi, che insieme costituiscono l’universo della previdenza integrativa italiana. Non molto grande, per la verità, al confronto delle masse gestite dai sistemi previdenziali di secondo livello di altri Paesi che raggiungono migliaia di miliardi, essendo partiti molti anni prima e con un sistema che ha agevolato questa forma di risparmio. Anche in Italia si tratta comunque di un bel boccone per chi vende i propri servizi con l’obiettivo di fornire ai fondi e ai loro associati un soddisfacente rendimento annuo. A spartirsi la torta ci sono molti soggetti italiani – società di asset management o compagnie di assicurazione – ma anche svariati soggetti esteri.
Questi ultimi, tuttavia, prevalgono in quantità e in masse gestite laddove il gioco si fa più duro, ovvero nei fondi pensione negoziali e nei fondi preesistenti (di cui però mancano dati precisi). In questo caso, le gare sono obbligatorie e soggette a precise regolamentazioni della Covip, l’autorità di vigilanza sulla previdenza integrativa, e dell’ Ivass, l’autorità di controllo sulle assicurazioni. In questo comparto, ben il 63,45% delle masse totali è appannaggio di case estere secondo i più recenti dati del Mefop (la società pubblica che supporta i fondi pensione) per il 2023 – mentre soltanto il 136,55% è riconducibile a operatori italiani.
Ma andiamo per ordine. Per quanto riguarda i fondi pensione aperti e i Pip (Piani individuali pensionistici) assicurativi, i soggetti che li emettono sono perlopiù italiani. Gli emittenti coincidono infatti coni gestori, società di asset management o compagnie interne ai vari gruppi che poi utilizzano i classici canali di vendita, sia sportelli bancari che agenzie assicurative e reti di consulenti finanziari. Si scopre così che il Gruppo Intesa (tramite Intesa Sp Vita e Fideuram Vita) – secondo un’analisi di Excellence Consulting su dati Covip – è la prima società di gestione in Italia di fondi pensione aperti con 5,829 miliardi di euro. Al secondo posto c`è Arca con 4,288 miliardi. Al terzo si trova la francese Amundi che, forte del suo accordo di commercializzazione con l’italiana Unicredit, gestisce ben 2,2 miliardi. Segue con 1,596 miliardi la tedesca Allianz, che ha un’ampia rete di vendita in Italia. Quinti e sesti sono Azimut (1,451miliardi) e Generali con 1,312 miliardi.
In tutto i primi sei operatori (sette se consideriamo separate le due società di Intesa) hanno in gestione ben 16,677 miliardi, il 59% del totale, che ammonta a 28,047 miliardi. Prevalenza di operatori italiani anche nei Pip assicurativi: il mondo Generali è ovviamente nettamente al primo posto, con 8,68 miliardi con la propria insegna e 6,13 con Alleanza, per un totale del 43% del patrimonio complessivo. Poste Vita è al secondo posto con 10,84 miliardi e una quota di mercato del 24%. Ci sono poi: Mediolanum (4,89 miliardi e 11%); Allianz prima compagnia estera – con 2,7 e 6%; UnipolSai con 1,2 e 3%; al settimo posto c`è la britannica Gamali- fe, con 1,17 miliardi e il 3%.
Le cose cambiano quando si passa ai fondi pensione negoziali, il cui patrimonio è di 64,5 miliardi. Qui non c`è una rete di vendita territoriale predisposta, ma soltanto una gara pura e semplice per acquisire le masse. Il primo gestore è nuovamente il gruppo Intesa con Eurizon Capital, a cui fa capo il 14,85% delle masse. Italiane sono anche la quinta (Generali con 8,45%) e la sesta (UnipolSai con il 7% del patrimonio totale). La lista dei gestori italiani continua con Anima (5,31%), al nono posto, e con Azimut, al diciannovesimo e con una quota secondaria (0,94%). In tutto, le italiane tra i primi venti posti raccolgono il 36,55% del totale degli asset under management.
Grande successo, invece, per un’agguerrita e folta schiera di gruppi esteri, tra cui spiccano, rispettivamente al secondo, terzo e quarto posto, Amundi (9,94% del totale), Blackrock (9,63%) e Axa (8,53%). Così l’Italia della previdenza integrativa diventa per loro facile terra di conquista. Tra i primi venti gruppi troviamo anche Allianz, Credit. Suisse, Groupama, Pimco, Candriam, State Street, Payden & Rygel, Schroders, Hsbc, Ostrum , Fisher e Bnp Paribas. A contendersi una fetta dei profitti sulla gestione delle masse dei fondi negoziali ci sono anche varie società di consulenza, che svolgono l`istruttoria per conto dei cda. Fra le italiane ci sono Mangusta, Bruni Marino, European Investment Consulting srl; fra le straniere Mercer e B Finance. Ma su tutte svetta Prometeia Advisory Sim, che svolge la parte del leone organizzando anche un paio d’incontri l’anno invitando sia i gestori sia i fondi.
Ma perché nei fondi negoziali sono preminenti i mandati di gestione a gruppi esteri? «Nelle gare indette dai consigli d’amministrazione dei fondi negoziali – dice Maurizio Agazzi, ex direttore generale di Cometa, il più grande fondo negoziale, e oggi consulente previdenziale in proprio – occorre tener conto di una serie di fattori elencati nel regolamento della Covip, tra cui qualità dei team di gestione, track record, masse gestite e competenze. Tutti fattori che avvantaggiano i competitor internazionali, che gestiscono masse ben più ampie dei gestori italiani e che hanno potenti divisioni strutturate e dedicate nel nostro Paese». Insomma, in Italia ci sono gestori importanti ma nessuno, è inutile illudersi, ha i track record e i pedigree di colossi come Blackrock, Allianz o Hsbc. Quindi la prevalenza delle case estere è inevitabile. «Inoltre – continua Agazzi – in Italia si trovano pochi fondi di nicchia, poiché non c’è stato un adeguato sviluppo delle boutique finanziarie». Infine, le case estere, arrivate una ventina d’anni fa da noi con commissioni molto elevate, hanno anche saputo adattarsi al più piccolo mercato italiano, dove invece sono ricercate dai consigli di amministrazione fee di gestione molto basse.
I fondi pensione negoziali hanno commissioni estremamente basse. In media, la gestione delle forme azionarie costa la metà della media degli analoghi fondi aperti e un terzo rispetto ai Pip. Ma è davvero una cosa buona puntare su fee così ridotte? Tra gli esperti si fa strada l’idea che meglio sarebbe considerare la performance netta (ovvero i rendimenti meno i costi) che un gestore ha nel tempo. Per Giampiero Malagnino, vice presidente vicario dell’Enpam, la cassa di previdenza integrativa dei medici, «sarebbe ora che i cda pensassero meno ai costi e più alla capacità di ottenere buone performance. L’attenzione spasmodica ai costi è influenzata in gran parte dalla tabella di confronto che la Covip pubblica periodicamente». L’altro problema è che la struttura dei bandi per le gare possa non riuscire ad evitare certi incagli. Si pensi a Cometa, il fondo dei metalmeccanici che aveva visto vincere Credit Suisse proprio mentre affioravano i problemi del gruppo svizzero. Cometa non ha poi dato corso al mandato ma il problema è emerso. Un terzo elemento di riflessione è dato dalla professionalità e dalla cultura finanziaria dei cda dei fondi chiusi, non sempre all’altezza. Per Maurizio Agazzi «è opportuno creare un buon ufficio finanziario interno al fondo e anche un risk manager, in modo che il cda abbia più forza nei confronti dei consulenti esterni. L’analisi preliminare dovrebbe essere svolta all’interno».
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