di Giulia Lisco, Training Specialist in Excellence Education
Nel libro dal titolo “Governare l’inatteso: organizzazioni capaci di affrontare le crisi con successo”, Karl Weick e Kathleen Sutcliffe provano a identificare delle linee guida per la gestione di situazioni critiche nelle organizzazioni. Per situazione critica intendiamo qualsiasi circostanza inattesa, caratterizzata da elementi che possono condizionare un esito ottimale delle attività di un’organizzazione. Secondo gli autori, gli incidenti non sono solo imputabili a dei difetti strumentali o all’errore umano, ma sono il frutto di un sistema organizzativo in cui gli aspetti, tecnico e umano, sono in relazione tra di loro. Gli incidenti, le crisi, non sono quindi attribuibili a una sola causa ma sono parte intrinseca della complessità del sistema.
In particolare, è interessante soffermarsi sui cinque principi che, secondo gli autori, se ben presidiati consentono alle organizzazioni di affrontare l’inatteso continuando a ottenere performance affidabili. Vediamoli insieme!
Preoccupazione rispetto agli eventi critici
Questo primo principio sottolinea l’importanza di tenere a mente l’eventualità di un fallimento. Anche con ampi margini di sicurezza e procedure dettagliate è importante individuare e correggere errori, passi falsi, comunicazioni sbagliate prima che si trasformino vere e proprie crisi: occorre dunque pre-occuparsi, occuparsi prima, degli eventi critici
- Il primo passo per farlo è riuscire a individuare i segnali deboli delle criticità. Quanto prima si colgono, tante più opzioni possono essere disponibili per arginarli
- Poi è fondamentale scoprire le criticità, ad esempio, attraverso un elenco che indica quali sono le situazioni e le aspettative che possono contribuire ad esse (cambiamenti nella supervisione, questioni delegate e che non hanno ricevuto un riscontro, passaggi saltati in una procedura ecc.)
- Il terzo passo è segnalare le criticità a tutti coloro che hanno preso parte alla realizzazione dell’attività e a chi è coinvolto nella sua supervisione o ne è il referente. Questo aspetto è incoraggiante perché permette a tutti di conoscere la complessità di un sistema e a raccogliere le informazioni utili a raddrizzare il tiro
- Infine, è importante non lasciare che le aspettative di ciascuno di noi semplifichino la realtà e distolgano dalle chiare evidenze che preannunciano i problemi inattesi
Riluttanza a semplificare
Questo secondo principio fa luce sulla difficoltà che abbiamo in quanto esseri umani nel rendere più complessi i nostri schemi mentali. Siamo, infatti, predisposti alla semplificazione del contesto in cui agiamo, alla sua riconduzione a categorie, prototipi e così via. Per gestire gli eventi inaspettati ci viene chiesto di prestare attenzione a più elementi del contesto, di “complicarlo” raccogliendo i primi segnali di allarme con le potenziali conseguenze.
Le etichette condivise, per esempio, possono essere rischiose. Immaginiamo un contenitore di benzina “vuoto”. Si può pensare che non sia pericoloso perché non contiene più liquido, in realtà è più pericoloso di un contenitore “pieno” perché i vapori restanti sono più esplosivi della benzina stessa. Se caliamo questo esempio nei nostri contesti professionali chissà quante etichette potrebbero essere superate e gestite al meglio. Considerato che è impossibile non usare etichette e categorie, il consiglio è quello di provare a metterle in dubbio, consapevoli che spesso altro non sono che non delle semplificazioni della realtà.
Sensibilità alle attività in corso
Questo terzo principio fa riferimento alla capacità di osservare ciò che stiamo facendo effettivamente, il lavoro stesso, non limitandosi a supporre che le attività in corso siano attendibili sulla base delle nostre intenzioni, aspettative e programmi.
È difficile prestare attenzione quotidianamente a ogni aspetto del lavoro e alla sua gestione più ottimale da parte di tutti gli attori organizzativi. Per colmare questo divario può essere utile sviluppare una mappa collettiva delle attività in corso in più momenti durante la giornata, o considerare il lavoro di routine tutt’altro che un meccanismo automatico ma pensarlo piuttosto come una serie di azioni abitudinarie che, talvolta, necessitano di un adeguamento alla situazione.
Impegno alla resilienza
Nell’ottica della gestione dell’inatteso, essere resilienti significa essere pienamente consapevoli degli errori che si sono già manifestati e correggerli prima che causino danni più seri. Questo implica tre abilità:
- Assorbire lo sforzo per preservare il funzionamento nonostante la presenza di avversità
- Riprendersi e ristabilirsi da eventi imprevisti
- Apprendere ed evolvere a partire da precedenti episodi in cui sono state applicate pratiche resilienti
In questo contesto proattivo e non semplicemente reattivo, persone con esperienze molteplici affrontano le criticità con un bagaglio di risorse più ricco e in modo più rapido, poiché sono guidate dalla frequenza dei riscontri negativi che hanno vissuto. Questo consente loro di creare nuove modalità di fronteggiare gli imprevisti.
Rispetto per la competenza
Quando un evento inatteso comincia ad emergere, spesso chi se ne accorge per primo tende ad essere in una posizione bassa nella gerarchia e spesso neanche si rende conto con precisione di ciò che sta accadendo. Le decisioni migranti, sia verso l’alto che verso il basso, si basano sul fatto che la competenza non necessariamente coincide con la posizione gerarchica e implicano che, chi è in grado di riconoscere un problema specifico, può prendere una decisione rapida per intervenire in modo efficace, riducendone le conseguenze.
Nei contesti organizzativi accade spesso di trovarsi di fronte a degli eventi inattesi da dover gestire in modo rapido ed efficiente. Questi cinque principi possono essere visti come una guida per imparare ad essere prima di tutto consapevoli della complessità delle nostre attività e, in seguito, un suggerimento per mettere in atto azioni future volte all’implementazione di buone pratiche di gestione.
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