Numerose testate di settore come Advisor, Azienda Banca, Focus Risparmio ed Economy Magazine danno rilievo alla nuova ricerca di Excellence — disponibile direttamente qui di seguito — che evidenzia come le banche, puntando maggiormente sulla consulenza finanziaria, riescano a ridurre la liquidità presso i conti correnti.
Negli ultimi dieci anni, dal 2010 al 2020, la quota di liquidità presso i conti correnti degli italiani, tra famiglie e imprese, è cresciuta di circa il 3% raggiungendo la cifra di 1.750 miliardi, un valore che, a causa dei tassi negativi imposti dalle politiche della BCE, spingono le banche ad applicare costi aggiuntivi: Fineco ha annunciato di voler chiudere i depositi sopra i 100mila euro e altri intermediari (Banco BPM, BNL, BPER, MPS, Unicredit) preconizzano iniziative simili.
Dall’altra parte, ancora dal 2010 al 2020, la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, pari a 4.421 miliardi, è aumentata solo del 1,84%. La capacità delle banche reti (Fideuram, Mediolanum, Fineco, Banca Generali, Allianz Bank etc.) di fare consulenza ai clienti sulla gestione della loro ricchezza finanziaria, con conseguente allocazione del patrimonio verso i prodotti di risparmio gestito, ha consentito loro di arginare l’incremento della liquidità: nel 2020 per le reti la percentuale di quest’ultima rispetto alla ricchezza gestita dei clienti è stata nell’ordine del 16% contro il 38% per il resto del sistema bancario (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM, MPS, BPER etc.).
È quanto si evince da una ricerca di Excellence Consulting, che esamina la relazione tra incremento della liquidità e i diversi modelli di business delle banche.
Nell’ultimo anno, secondo ABI, i depositi degli italiani si sono ampliati di circa 200 MLD di euro. La pandemia ha spinto le persone a essere più prudenti, risparmiare maggiormente e temere la volatilità e l’instabilità dei mercati, così alla decrescita del Pil conseguente al lock-down si è associata anche la ridotta espansione della ricchezza finanziaria. A guardare i dati di Bankitalia, se è vero che dal 2010 al 2020 la quota di quest’ultima detenuta sotto forma di liquidità dalle famiglie italiane è cresciuta di circa il 3% all’anno, tuttavia l’andamento evidenzia una progressiva accelerazione: fino al 2015 l’incremento è stato nell’ordine del 1,27% all’anno, dal 2015 al 2018 del 3%, per arrivare al 4,74% del biennio 2018-2020. L’anno chiave sembra il 2015, quello dei fallimenti bancari con la risoluzione di Banca Etruria, Banca delle Marche, Cariferrara e Carichieti, ma è indubbio che a velocizzare molto la crescita nell’ultimo biennio sia anche stata l’incertezza dovuta alla crisi sanitaria. Al contempo è anche cresciuta la quota di ricchezza finanziaria detenuta sotto forma di prodotti di risparmio gestito (fondi comuni o prodotti assicurativi), che riporta un tasso di crescita annuo del 5,17% dal 2010 al 2020, cionondimeno la ricchezza finanziaria complessiva degli italiani, pari a 4.421 MLD nel 2020, negli ultimi dieci anni è aumentata solamente del 1,84% all’anno.
La tradizionale attitudine consulenziale delle Reti sulla gestione della ricchezza finanziaria dei clienti, ossia la capacità di far sì che parte di essa sia prevalentemente investita in prodotti di risparmio gestito, ha concesso loro di contenere l’aumento della liquidità: infatti al 2020 per le Reti (Fideuram, Mediolanum, Fineco, Banca Generali, Allianz Bank etc.) la quota di liquidità rispetto alla ricchezza finanziaria complessiva dei loro clienti è stata nell’ordine del 16%, rispetto allo stesso indicatore per il resto del sistema bancario (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco BPM, MPS, BPER, etc.) pari al 38%. L’incremento, tuttavia, ha riguardato tutti i player del mercato: dal 2010 al 2020 per le Reti l’indicatore è salito dal 11% al 16%, mentre per le banche dal 32% a circa il 38%. Anche all’interno delle Reti, la situazione non è omogenea. Guardando al 2020, a ottenere le performance migliori in termini di quota di liquidità rispetto al totale del patrimonio dei clienti sono state: Azimut (4%), Deutsche Bank (8%), Allianz Bank (9%), Banca Generali (13%), Banca Euromobiliare (13%) e Fideuram (15%). Hanno un peso della liquidità più significativo: CheBanca (35%), Wibida (28%), Fineco (27%), Mediolanum (24%).
“La nostra ricerca – afferma Maurizio Primanni, CEO di Excellence Consulting – dimostra che la liquidità non messa a reddito che giace sui conti correnti degli italiani, oltre che alla paura e all’incertezza nel futuro conseguenti all’emergenza del Covid, è legata anche alla maggiore o minore capacità di fare consulenza da parte della Banca. In particolare, è da segnalare come il problema dell’eccesso di liquidità sui conti dei clienti riguardi maggiormente le banche commerciali rispetto alle Reti, che beneficiano, oltre al fatto di avere una clientela in media più ricca, anche di una maggiore focalizzazione del loro modello di business verso la consulenza sugli investimenti dei clienti. Interessante anche il fatto che all’interno dell’aggregato delle banche reti la situazione sia disomogenea, con quelle advisor-centriche (Fideuram, Banca Generali, Allianz Bank e Azimut) che risentono del problema dell’eccesso di liquidità in forma molto minore rispetto alle più digitali (Fineco, Widiba e Che Banca).”
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