di Andrea Longoni, Senior Training Specialist in Excellence Education
La produttività del lavoro dipende dalle competenze
In un’impresa in piena produzione, ad un certo punto un macchinario chiave smette di funzionare. Nessuno in azienda riesce a risolvere il problema, quindi l’imprenditore decide di affidarsi al miglior tecnico esterno sul mercato.
Il tecnico va in azienda, si fa spiegare il problema, prende un cacciavite, dà un mezzo giro ad una vite e il macchinario riparte.
L’imprenditore è molto contento, almeno finché non vede la fattura da € 1.000.
Il proprietario, scandalizzato, esclamò: “Mille euro per così poco lavoro? È assurdo! È una cifra troppo alta!” Il tecnico allora gli rispose: “Ha ragione. Le riscrivo meglio la fattura.” Il proprietario era scettico, ma quando il tecnico gli porse la fattura, cambiò espressione, si calmò e pagò la cifra senza battere ciglio. Sulla fattura era scritto questo:
- Girare la vite: 1 euro
- Sapere quale vite girare, quanto e in che direzione: 999 euro
Questa immagine, chiaramente di fantasia, mette in evidenza il ruolo esercitato dalla competenza dei lavoratori sulla produttività delle attività economiche.
La relazione fra competenze e produttività è così evidente che nessuno è disponibile a metterla in discussione. Più una persona ha competenze utili, specializzate e scarse sul mercato, maggiore è il suo valore, in quanto le imprese saranno disposte a pagargli un salario più alto come promessa di un vantaggio competitivo, di produttività, su altre imprese.
È chiaramente riconosciuta la relazione fra produttività e salari, ed è molto semplice visualizzare la differenza fra livello di formazione e salari.
Questa relazione però è vera anche se si focalizza l’attenzione, ad esempio, sulla differenza di RAL nei ruoli più operativi di operaio generico ed operaio specializzato, o fra differenti livelli di impiegati. Al crescere delle competenze, cresce il reddito, e il reddito cresce perché cresce la produttività del lavoratore.
Per produttività del lavoro si intende la misura del valore prodotto per ora lavorata, ed è il parametro principale riconosciuto in economia come determinante della crescita dei salari nel lungo periodo.
Le determinanti della produttività sono varie tante, innovazione tecnologica, logistica, organizzazione, procedure ecc. Ma di sicuro fra le variabili da tenere in considerazione ci sono le competenze dei dipendenti.
È infatti molto interessante vedere come, a fronte di svariati miliardi di investimenti spinti da progetti come il “piano Industria 4.0”, il livello della produttività nel nostro paese sia rimasto sostanzialmente identico nel corso degli anni[1] e, come conferma, la stessa sorte è toccata ai salari reali (cioè al netto dell’inflazione).
Questo ad indicare il fatto che l’adozione di strumenti più evoluti, come macchinari o software, può avere un impatto inferiore alle aspettative se i dipendenti non sono poi messi nelle condizioni di comprendere le potenzialità delle nuove macchine ed utilizzarle.
Come mettere quindi i dipendenti nelle condizioni di migliorare la produttività?
La risposta che può dare un formatore è ovviamente: attraverso la formazione. Sì, ma in che senso?
- Innanzitutto, formare i manager alla delega delle attività, riducendo il controllo e riconoscendo la specializzazione propria del collaboratore: in questo modo si responsabilizza il lavoratore e lo si sprona ad utilizzare gli strumenti e a guardare le procedure in modo creativo (nell’ambito del rispetto della sicurezza), con l’obiettivo di migliorare la propria produttività
- Al contempo formare i lavoratori ad un modo di lavorare differente, passando da esecutori di azioni a creatori di innovazione, esploratori di soluzioni e produttori di proposte, responsabilizzandoli in quanto specialisti dell’attività.
L’insorgenza continua di nuovi strumenti, macchinari, software e servizi genera nuove opportunità che devono però essere notate, proposte e discusse, e se ritenute adeguate, implementate ed utilizzate.
In generale le aziende hanno 3 modi per acquisire quelle competenze che gli consentono di garantirsi il vantaggio competitivo:
- Acquisto della professionalità sul mercato
- Ricerca e selezione di talenti
- Formazione (skilling, upskilling e reskilling) dei dipendenti
Va da sé che tutte hanno una loro utilità, ma la formazione diventa particolarmente interessante nel momento in cui si considerano alcuni macro-trend:
- Iperspecializzazione delle attività, più il sapere è specialistico più è frammentato, minore è la capacità dei manager di intercettare i possibili servizi a supporto dell’attività degli specialisti, più gli specialisti devono saper essere promotori di cambiamento[1] e i manager dei controllori della qualità del risultato
- Aumento dell’età media dei lavoratori dipendenti, spesso cresciuti in uno stesso contesto lavorativo organizzato gerarchicamente, e con attività routinarie. Questo può portare ad una maggiore resistenza al cambiamento[2]
- Riduzione del numero di lavoratori disponibili, passati da 39,1 milioni di persone nel 2011, agli attuali 37,2 milioni, e con la previsione di una riduzione di 1,8 milioni al 2030[3]
La formazione sulle hard skills permette di sviluppare le competenze tecniche necessarie ad utilizzare nuovi strumenti, e la formazione sulle soft-skills, in particolare per una cultura manageriale che promuove autonomia e responsabilità dei dipendenti, è una delle risposte che le aziende possono darsi per migliorare la produttività dei lavoratori, ridurre i costi, aprirsi nuove opportunità di business e crescere.
[1] https://www.hbritalia.it/luglio-agosto-2011/2011/07/01/pdf/l-era-dell-iper-specializzazione-14442/?id=0
[2] https://typeset.io/pdf/age-resistance-to-change-and-job-performance-1a0c86ke49.pdf , pag 6 di 20
[3] CDP_Brief_Demografia_e_evoluzione_della_forza_lavoro_22052023.pdf pag 2
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