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Il futuro della diversità, equità e inclusione (DEI) nel mondo aziendale

di Lisa Segarini, Senior Consultant in Red Public

Non esistono strategie infallibili per creare una cultura aziendale basata su diversità, equità e inclusione (DEI).

Sono state molte le organizzazioni che – spinte da ampi movimenti sociali e richieste di cambiamento sistemico – hanno adottato programmi DEI per affrontare le diseguaglianze e promuovere culture inclusive sul posto di lavoro.

Tuttavia recenti avvenimenti indicano un notevole allontamento da questi impegni e questo solleva interrogativi su quanto velocemente i progressi possano essere vanificati.

Solo pochi anni fa, la professoressa Goldin vinceva il Premio Nobel per l’Economia per i suoi studi sul divario di genere nel mondo del lavoro, attraverso i quali suggeriva la necessità di cambiamenti profondi nelle strutture economiche e sociali, ma anche una maggiore consapevolezza all’interno delle organizzazioni su come le politiche DEI possano giocare un ruolo fondamentale nel ridurre il gap di genere.

Per citare qualche esempio, di recente Google ha eliminato i propri obiettivi di diversità e inclusione tra i dipendenti a seguito dell’ordine esecutivo del presidente Donald Trump che ha smantellato i programmi governativi legati al settore DEI. Con circa 180mila dipendenti a livello globale e fornendo servizi al governo federale, Google ha dichiarato mercoledì 5 febbraio 2025 di essere obbligata a conformarsi al provvedimento.

Goldman Sachs ha annunciato l’abbandono del requisito che imponeva ai clienti IPO di includere donne e membri di gruppi minoritari nei consigli di amministrazione. “In seguito agli sviluppi legali sui requisiti di diversità, abbiamo concluso la nostra politica formale in materia”, ha dichiarato un portavoce via e-mail all’Associated Press.

Disney ha modificato la propria cultura aziendale per allineare le iniziative agli obiettivi di business, eliminando diversità e inclusione dai criteri di valutazione delle performance degli executive, ora sostituiti da una “Talent Strategy”.

Il significato profondo della diversità

Diversità – dal latino diversitas, derivato di diversus, participio passato di divèrtere.

Una parola che oggi evoca una vasta gamma di emozioni, forse proprio per la molteplicità delle sue definizioni.

La parola “diversità” ha una famiglia etimologica affascinante che ruota attorno al verbo divèrtere, che significa “rivolgersi altrove”. Da questo verbo derivano termini come divorzio, diversivo e divertire, che indicano separazioni, deviazioni e distrazioni. Il participio diversus esprime l’idea di essere “volto altrove”, rafforzando l’immagine di ciò che tende in direzioni diverse.

Così ci ritroviamo tutti e tutte – che lo si voglia o no – a percepire il rumore all’interno del dibabitto sulla diversità.

Ed ecco che di fronte a noi compare un bivio. Come aziende, ci ritroviamo di fronte alla necessità di fare scelte difficili, considerando le sfide economiche e le reazioni politiche che ne derivano. Tuttavia, ciò che sta accadendo in questo momento non è necessariamente un passo indietro, ma potrebbe essere l’opportunità di fare le scelte giuste per il futuro.

Tre prospettive per comprendere la diversità

Per spiegare meglio, è utile ricorrere a un’analogia visiva. Immaginiamo una situazione in cui due persone stanno cercando di raccogliere i frutti da un albero.

Eguaglianza

Nella prima scena, ogni persona ha uno sgabello della stessa altezza per raggiungere i frutti. Tuttavia, alcune persone sono più alte e riescono a raccogliere i frutti facilmente, mentre quelle più basse non ci riescono. In questo scenario, pur avendo la stessa opportunità di accesso, non tutti ottengono lo stesso risultato a causa delle differenze nelle loro altezze.

Equità

Nella seconda scena, lo sgabello per ogni persona viene regolato in base alla sua altezza, in modo che tutti possano raggiungere i frutti. Le persone più basse hanno uno sgabello più alto, mentre quelle più alte non ne hanno bisogno. In questo caso, l’albero è ancora lo stesso, ma il supporto dato a ciascuna persona tiene conto delle sue necessità specifiche, cercando di garantire che ognuno possa ottenere lo stesso risultato.

Giustizia

Infine, nella scena della giustizia, l’albero viene modificato: i rami vengono abbassati in modo che tutti possano raccogliere i frutti senza bisogno di alcun supporto. Così, si elimina la disuguaglianza nell’accesso, garantendo che ogni persona abbia le stesse opportunità di partecipare e ottenere i frutti, senza alcuna barriera o differenza tra chi ha bisogno di aiuto e chi non ne ha.

Oltre l’equità: verso un modello sostenibile

Oggi la maggior parte delle aziende si trova nella fase dell’equità. Dopo anni di discussione e azioni indirizzate verso l’inclusione delle persone più svantaggiate, molte organizzazioni hanno compiuto passi concreti per adattare le proprie politiche e risorse. L’equità, in sostanza, ha rappresentato un tentativo di compensare le disuguaglianze iniziali, con l’obiettivo di dare a tutti le stesse opportunità.

Tuttavia, va detto che le strategie DEI tradizionalmente adottate da molte organizzazioni hanno spesso prodotto, nel migliore dei casi, solo un’apparenza di progresso e, nel peggiore, una reazione negativa significativa.

Ecco perché, oggi più che mai, la messa in dicussione di tale modello presenta l’opportunità di fare un passo decisivo per costruire un futuro dove tutti possano partecipare senza ostacoli, integrando la DEI in modo strategico nel DNA organizzativo, riconoscendola come un catalizzatore di cambiamento e successo.

La situazione italiana: un contesto differente

Nel corso di questa analisi non dobbiamo dimenticare che l’Italia sperimenta una realtà molto diversa rispetto agli Stati Uniti di Donald Trump. Questa differenza si riflette, tra le altre cose, nella posizione del nostro Paese al sesto posto (con un punteggio di 5,63) tra i paesi esaminati dall’EY European DEI Index, che misura il successo delle organizzazioni nel raggiungere i propri obiettivi di diversità, equità e inclusione (DEI). Solo una piccola percentuale di organizzazioni italiane, pari al 6%, si distingue per una maggiore efficienza: i dipendenti di queste aziende riportano livelli più elevati di produttività e un più forte senso di appartenenza. l’Italia è tra i Paesi con la spesa più bassa per quanto riguarda la DEI, con 3,99 milioni di euro contro i 5,75 della Spagna (in testa per spesa media annua per la DEI).

Tuttavia, i dati mostrano anche un cambiamento profondo nelle aspettative dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia. Secondo il Randstad Workmonitor 2024, solo metà dei lavoratori e delle lavoratrice si considera ambizioso/a nella propria carriera e ben il 42% non si concentra sull’avanzamento di ruolo. Molti/e preferiscono trovare soddisfazione in ruoli che li/e appaghino personalmente, senza necessità di una crescita professionale continua. Questo fenomeno è il segno che l’approccio al lavoro sta cambiando, in un contesto dove le priorità sono orientate verso un equilibrio tra vita privata e professionale, flessibilità e benessere.

Inoltre, il 57% dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia dichiarerebbe di lasciare l’attuale posto se non si sentisse a suo agio, con un aumento di 30 punti rispetto all’anno precedente. Questo dato si associa a una forte richiesta da parte del 42% dei lavoratori e lavoratrici, che non accetterebbero un nuovo lavoro in un’organizzazione priva di un impegno proattivo per promuovere una cultura positiva e inclusiva.

Per l’Italia, quindi, quello che sta accadendo negli USA, rappresenta un’opportunità ancora più significativa: le aziende italiane possono evitare gli errori già commessi altrove, adottando da subito approcci più efficaci, misurabili e sostenibili. Sfruttare questa posizione può permettere di costruire una cultura organizzativa davvero inclusiva, capace di valorizzare ogni talento e di generare vantaggi competitivi duraturi.

Insieme possiamo guidare questa trasformazione utilizzando i dati per progettare interventi che migliorano concretamente i risultati per tutti e tutte. Adottando un approccio di change management per ottenere un impatto su larga scala, migliorando le politiche del personale, i processi di assunzione, promozione e feedback, i meccanismi di incentivazione della leadership e le norme culturali dell’organizzazione. Piuttosto che limitarci a “creare consapevolezza” senza un seguito concreto, possiamo costruire coalizioni che coinvolgono tutti i membri dell’organizzazione come parte della soluzione, invece di attribuire i problemi a un singolo gruppo sociale. Possiamo comunicare in modo da disinnescare comportamenti difensivi, sottolineando i benefici di queste iniziative per tutti/e, invece di alimentare ostilità e polarizzazione tra i gruppi.

Il modello FAIR: un approccio sistemico all’inclusione

 Il modello FAIR, ideato da Lily Zheng, strategist, consulente e autrice del libro in uscita Fixing Fairness: 4 Tenets to Transform Diversity Backlash into Progress for All spiega perfettamente come le organizzazioni possano evolversi per affrontare le sfide moderne della diversità, equità e inclusione. Attraverso i suoi quattro pilastri — Equità, Accesso, Inclusione e Rappresentanza — il modello propone un approccio sistemico e concreto per costruire ambienti di lavoro che garantiscano pari opportunità a tutti/e, rimuovano le barriere alla partecipazione e promuovano una cultura inclusiva e rappresentativa.

Gli accadimenti recenti ci invitano a ripensare e ristrutturare le pratiche organizzative esistenti, creando sistemi basati su dati concreti, che siano trasparenti e che riflettano veramente il valore di ogni individuo. Così facendo, possiamo evitare il rischio di cadere nelle trappole di pratiche performative e superficiali, come accaduto in passato, e costruire una vera inclusività, garantendo così che ogni persona abbia le stesse opportunità di cogliere i frutti.

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Whistleblowing

L’Istituto del “Whistleblowing” è riconosciuto come strumento fondamentale nell’emersione di illeciti; per il suo efficace operare è pero cruciale assicurare una protezione adeguata ed equilibrata ai segnalanti. In tale ottica, al fine di garantire che i soggetti segnalanti siano meglio protetto da ritorsioni e conseguenze negative, e incoraggiare l’utilizzo dello strumento, in Italia è stato approvato il D.Lgs. n.24 del 10 marzo 2023 a recepimento della Direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni.

Il decreto persegue l’obiettivo di rafforzare la tutela giuridica delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o europee, che ledono gli interessi e/o l’integrità dell’ente pubblico o privato di appartenenza, e di cui siano venute a conoscenza nello svolgimento dell’attività lavorativa.

Segnalazione

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