di Antonio D’Abramo, HR Manager del Gruppo Excellence
Introduzione
Intelligenza artificiale, algoritmi e chatbot
Tono della voce, un’espressione del viso, postura o un’esitazione potrebbero essere i fattori per decidere se hai la possibilità di ottenere un posto di lavoro o meno.
Da circa una decina d’anni, gli algoritmi scremano curricula e filtrano lettere di presentazione individuando attraverso parole chiave e dati i candidati migliori. Oggi, e sempre di più, le società internazionali di gestione del personale sono dotate di intelligenza artificiale: software capaci a identificare nei data base e sui social network i candidati più capaci. Nel 2022 il mercato globale dell’intelligenza artificiale nel campo del reclutamento è stimato in 3,8 miliardi di dollari e tra 5 anni supererà i 17 miliardi.
Il gaming come metodo di selezione
Esaminando reattività, capacità di risolvere i problemi e tolleranze al rischio, queste sono alcune delle aree di valutazione. Ad esempio, Pymetrics valuta i candidati per come affrontano giochi on line, quiz e puzzle; Ayra, invece, incrocia i database di aziende e social network promette di individuare talenti pronti a cambiare lavoro.
Contesto italiano
Software basati su machine learning e altre tecniche di intelligenza artificiale non sono ancora molto diffusi. Solo alcune aziende come Ferrovie dello Stato, A2A, Esselunga e Adecco li stanno utilizzando.
C’è il caso di Esselunga, che si è affidata a Easyrecrue (ICIMS) per la gestione della prima fase di screening con l’obbiettivo di passare da 20 mila colloqui fisici a meno di 4 mila. I candidati caricano un video sul sito di Esselunga dopo aver risposto a domande in differita. I filmati sono analizzati dall’algoritmo che alla fine decreta una classifica dei profili migliori.
Pre conclusione
Perché sempre più le aziende si affidano ai software di intelligenza artificiale e, a farlo, sono soprattutto multinazionali? In primis, per risparmiare sui costi e allargare il ventaglio di candidature, ma soprattutto per andare a intercettare i candidati passivi (ovvero coloro che non stanno cercando lavoro) i quali costituiscono una platea dormiente e potenzialmente attiva che può essere messa in luce da attraverso database e algoritmi di social network. HireVue, negli ultimi sei anni, ha condotto oltre 26 milioni di videointerviste e lo utilizzano 800 aziende, tra cui Hilton Hotels J.P Morgan, Accenture, Coca Cola, Vodafone, Goldman Sachs e Unilever.
Mckinsey Global Institute stima che entro il 2030 l’intelligenza artificiale porterà ad una crescita del 16% del Pil Mondiale e avrà un impatto sul 70% delle Aziende.
Conclusione, Svantaggi e pregiudizi
Ma davvero il valore di un candidato può essere determinato da quanto si è bravi nei giochi online, dal tono della voce o dall’espressione facciale? Perché, allora, una persona lievemente balbuziente, o lievemente strabica o semplicemente intimidita dalla webcam, non avrebbe speranze.
In realtà i software di AI riflettono i pregiudizi dei loro programmatori, correndo un duplice rischio. Il primo è proprio quello di assimilare i preconcetti umani. Gli algoritmi imparano dagli esempi e, se apprendono sulla base di esempi polarizzati, che contengono cioè pregiudizi, questi saranno automaticamente replicati anche nel processo di assunzione del personale. Poi c’è il rischio dell’appiattimento: la ricerca di un candidato ideale che abbia caratteristiche molto specifiche può portare il software a escludere persone interessanti ma con un profilo un po’ diverso (es. lavoratori meno giovani, donne o appartenenti alle minoranze). Escludendo così il fattore human touch.
A tal proposito, in diversi Stati anche la politica si sta muovendo per regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale, e ha messo il tema sul tavolo. Ma in agenda il tema della raccolta dati personali non emerge: questi milioni di registrazioni con miliardi di dati personali, dove vanno a finire? In quale altro mercato?
LEGGI ANCHE – L’arcobaleno dopo la tempesta: come rendere efficace un brainstorming